Non è una barzelletta, ma storia vera; quante volte ci siamo chiesti, davanti ad una qualsiasi opera d'Arte: ma come fanno gli addetti ai lavori ad interpretare, attribuire, valutare quello che per noi è un mistero quasi imperscrutabile? Quali metodi applicano all'analisi e quali sono gli argomenti che li guidano? Ce la potrei fare anche io?
In questi articoli proveremo a dare un minimo appiglio "pratico" ai nostri pensieri prendendo in considerazione i metodi di tre storici dell'Arte famosissimi e, soprattutto, fondatori di "scuole" tutt'ora, con gli aggiornamenti ed i limiti del caso, attuali: Bernard Berenson, Heinrich Wölfflin e Roberto Longhi. Tre articoli per tre giganti gentili.


Facciamo una premessa: ognuno di loro ha elaborato un "sistema di valori" assolutamente personale, che sicuramente riflette il proprio approccio all'Arte; è curioso vedere come ognuno di questi sistemi sia così vicino alla natura del popolo a cui appartengono da poter fare un gioco di indovinelli. Berenson, naturalizzato americano a 10 anni ma nato in Lituania, ha un metodo che si basa sulla classificazione degli effetti visivi e psicologici, Wölfflin, svizzero di parte tedesca, elabora un metodo più schematico, basato sulla dicotomia di certi elementi a prima vista contrari (una specie di "bianco o nero", "c'è o non c'è") mentre infine Longhi, piemontese, si affida ai contenuti artistici veri e propri, allo "stile" ed al colorismo.

Questa prima parte si occupa di Bernard Berenson (1865-1959), nato Bernhard Valvrojenski, lituano di nascita, americano di estrazione culturale, fiorentino di affezione: sua è stata la Villa "I Tatti" acquistata nel 1907 ed alla sua morte donata alla Harvard University, dove Berenson si laureò nel 1887, ma non in Storia dell'Arte, bensì in Letteratura e Storia.

Già dal 1887, nel suo "I pittori del Rinascimento nell'Italia Centrale" Berenson imposta il discorso su fattori di "forma": la "decorazione" e l'"illustrazione". La combinazione di questi elementi sono quindi peculiari di certe scuole, di certi artisti, ed in ultima analisi di un artista solamente, come ad esempio il Botticelli de "La Primavera". Sarebbe quindi l'impronta digitale di ciascuno.

Per "decorazione" Berenson intende “tutti quegli elementi che, in un’opera d’arte, fanno leva direttamente sui sensi, per esempio i colori e le tonalità, oppure che stimolano direttamente certe sensazioni, per esempio la forma e il movimento”.

Per "illustrazione" invece il riferimento è a “tutto ciò che in un’opera d’arte richiama la nostra attenzione non per una qualità intrinseca contenuta nell’opera, ma per ciò che essa rappresenta, sia nella realtà esteriore, sia nella mente di qualcuno”.

Per usare lo stesso esempio di Berenson, un'opera mal disegnata e mal colorata (cioè carente di "decorazione"), un ritratto ad esempio, può comunque ricordarci qualcuno attraverso l'illustrazione di elementi caratteristici peculiari; facciamo un esempio banale: vedendo di profilo un naso adunco in un dipinto del '300 fiorentino potremmo comunque riconoscere Dante Alighieri nel soggetto ritratto anche solo da quel particolare.

Anni più tardi, nel 1948, Berenson in "Estetica, etica e storia nelle arti della rappresentazione visiva" sviluppa il concetto di "decorazione" introducendo i cosiddetti (e celeberrimi) "valori tattili": “i valori tattili si trovano nelle rappresentazioni di oggetti solidi allorché questi non sono semplicemente imitati (non importa con quanta veridicità) ma presentati in un modo che stimola l’immaginazione a sentirne il volume, soppesarli, rendersi conto della loro resistenza potenziale, misurare la loro distanza da noi, e che ci incoraggia, sempre nell’immaginazione, a metterci in stretto contatto con essi, ad afferrarli, abbracciarli o girar loro intorno".

Integrati poi dal valore di "movimento", i "valori tattili" sono quindi quell'insieme di sensazioni che ci consentono di percepire l'esistenza reale di quanto rappresentato.

La maggiore o minore misura di questi valori, decorazione, illustrazione, valori tattili, di movimento sono la guida per l'analisi stilistica delle opere.

Maesta CimabueGiottoCome esempio riportiamo lo stesso utilizzato da Berenson: le due Maestà di Cimabue e Giotto presenti alla Galleria degli Uffizi. Entrambe riproducono "una donna seduta, con intorno uomini ed angeli in piedi o genuflessi" ma, secondo Berenson, per percepire nel "reale" l'opera di Cimabue c'è bisogno di un maggiore sforzo da parte dell'osservatore rispetto alla maestà di Giotto.

Attenzione: questo non significa che Giotto sia più "bravo" di Cimabue, o che quella di Giotto sia l'interpretazione corretta, ma solo che i due stili personali sono diversi per una serie di motivi oggettivi che consentono la loro comparazione. Un "sistema metrico", insomma.

Ricordiamoci sempre che le teorie dell'Arte sono come la bussola del navigatore: indica esattamente la direzione senza dire se è quella giusta o no. Quella valutazione è soggettiva e dipende esclusivamente dal marinaio.

Nel prossimo articolo sarà la volta di Heinrich Wölfflin che ci darà una "bussola" veramente interessante e pratica.

continua (parte 2).....

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Bernard Berenson (1865-1959)

Roberto Longhi (1890-1970)

Heinrich Wölfflin (1864-1945)